La ricerca di una definizione del concetto di emozione, e le successive teorie elaborate su di essa da importanti studiosi come lo è in stato in questo caso Goleman, hanno permesso una elaborazione su di un piano pratico come quello delle interazioni fra individui. Si è visto nei passi precedenti come sia possibile “padroneggiare” le emozioni per mezzo di una specifica conoscenza e categorizzazione delle stesse, processo utile al fine di saper gestire al meglio situazioni interazionali con l’altro.
In tal proposito, sul piano della comunicazione e in correlazione con le nozioni apprese dalla ricerca effettuata sul piano emotivo della persona, risulta interessante approfondire il concetto di comunicazione e tutto ciò che riguarda le dinamiche di relazione con l’altro, non soltanto sul piano verbale ma anche su quello visivo.
Quando si utilizza o si sceglie un’immagine, si compie un atto comunicativo voluto, si trasmette un messaggio che ha sempre un significato ed è caratterizzato da segni che determinano immagini figurative o astratte.
La comunicazione visiva, come quella verbale, può avere numerosi fini. Può essere, infatti, usata per informare, per esprimere sensazioni o stati d’animo, per esortare a fare o a non fare qualcosa, per spingere a determinati comportamenti.
Quando si osserva un oggetto e un’immagine, si è portati a dare dei significati e dei giudizi. Nel caso di studenti, ad esempio, se essi provano a guardare i propri compagni di classe, sono in grado di distinguere lo stato d’animo di ognuno, perché il volto è in grado di mostrare i sentimenti e le persone conoscono i codici appropriati per comprenderli. Si sa inoltre che i diversi stati d’animo si manifestano indipendentemente dall’età. Osservando, infatti, un bambino, un adulto, un vecchio che sorridono, si nota che tutti e tre modificano i lineamenti del volto secondo la stessa regola. Ciò si può verificare facilmente, tracciando le linee di forza che agiscono nel sorriso, oppure descrivendo l’azione del sorridere verbalmente (le guance si allargano, la fronte si spiana, gli occhi si allungano e si socchiudono, ecc.). Ovviamente, non è solo il volto a comunicare qualcosa visivamente. Anche le mani, gli abiti, le azioni ci trasmettono dei messaggi, diretti o indiretti.
La conoscenza del funzionamento dei sistemi percettivi, degli aspetti compositivi e formali dei singoli segni permette di decodificare ogni immagine e di costruirne delle nuove. Nell’annuncio pubblicitario, per realizzare un messaggio visivo è fondamentale creare una struttura di codici e sottocodici, ognuno dei quali è utilizzato per veicolare particolari significati e valori.
Esistono diverse metodologie di analisi dei messaggi visivi. Tra i modelli comunicativi più conosciuti, si ricorda quello di R.Jakobson, il quale schematizza in modo logico e razionale le molteplici funzioni di un messaggio, affermando che ciò che differenzia un messaggio da un altro è la gerarchia delle funzioni stesse. Secondo Jakobson, infatti, tra le tante funzioni presenti, ce n’è sempre una dominante.
In ogni caso, bisogna sempre tenere presenti le intenzioni dell’emittente, il contesto in cui il messaggio è stato prodotto, le persone a cui esso è destinato, le scelte compositive, stilistiche e formali.